Archive for settembre, 2012
nel frigo da pulire c’era una cosa del 2008
mentre che paio guarita dal malanno
e allora giornata raddolcita e scoiattola
malanno come sintomo
bene rifugio protezione
smettere le cose brutte
ne restano due/tre
la prima da gestire
poiché potendo, non avrei fatto l’altrettanto,
io, stanotte? e allora.
e non confligge coi genti sui treni, mi pare, suppongo.
e allora.
la seconda è da smettere tout court giacché la pina è chiusa
ma là sono arrivata e l’inversione a U
costosa, dannosa, lo scopo è alla portata, e allora.
la terza è gratis ma danneggia, ed è follia, sapere l’ora,
l’ora mi guasta, mi sveglio riposata e poi borbotto e ci ho le spine,
da smettere stando seduta stante, mai arriverà momento giusto,
penso sia adesso, e poi procedo.
va meglio, finalmente, se non ho più il malanno,
ma quanto pesan gli altri, ci devo lavorare, tener su gli angoli,
continuare a mangiare così, e dopo a sera dai piedi destri alla gola,
e lato destro e poi sinistro, otto respiri con la pancia, molto pesante,
molto leggera, le essenze del maestro, tutti i semini,
e viva rapunzel.
Raramente ci si guarda, con se stessi, negli occhi, e pare che in certi casi
questo valga per un esercizio estremo. Dicono che, immergendosi allo specchio
nei propri occhi – con attenzione cruciale e al tempo stesso con abbandono –
si arrivi a distinguere finalmente in fondo alla pupilla l’ultimo Altro, anzi l’unico
e vero Sestesso, il centro di ogni esistenza e della nostra, insomma quel punto che
avrebbe nome Dio. Invece, nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro
che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta
segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d’amore ormai
scaduta e inservibile, ma ostinata fino all’indecenza.
Elsa Morante, Aracoeli
Si bonum est aliquid quod initium et finem habet, multo melius esse bonum, quod licet incipiat non tamen desinit
et sicut istud illo melius est, ita isto esse melius illud quod nec finem habet nec initium, etiam si semper de praterito per praesens transeat ad futurum
id quod nullo modo indiget vel cogitur mutari vel moveri.
CRISI DELLO SGUARDO Erano gli occhi tuoi lupi solitari pianeti fuori orbita dai neon della città: strappata a morsi la loro lupitudine, dei lupi dei tuoi occhi cosa resterà? Erano gli occhi miei laser di rosa promessa fucsia di felicità: tra il bar, i saldi, la luna e i calendari, del mio rosa-vedere cosa resterà? Resta la lupesca solitudine che azzanna al collo il porco rosa, ma ucciderlo non stronca l’abitudine: e quindi voglio il lupo e anche la rosa. La fame sempre fuori dal reame: e quindi soprattutto voglio il pane. [francesca genti]
non è molto il da dire
stasera ho visto il sangue chiaro chiaro
domani dottoressa
ieri mi sarei accasciata su ringhiere
invece ho continuato due sul primo e due sul secondo
oh me parlare con tutta quella gente e avere quel malanno
solo starei seduta distesa e invece debbo camminare e intrattenere
il sangue non spaventa
nemmeno quel che dice maria anche mio padre
nel giro d’un mese morto.
non lo so se m’importa ho una gran calma ho scetticismo
ho approccio olistico, e scetticismo,
e volontà di non so cosa,
di non accasciarmi per esempio, di non spiagnettare,
fanno dodici gradi faccio il pifferaio magico
essi mi seguono m’arresto e loro pure
essi testeggiano sbadigliano sorridono sbeffeggiano
stringono mano calorosi,
io non lo so se guarisco
alla fin fine
se non avessi il malanno
io lo sapevo che durava
non riesco a sperare più niente aspettare
nottetempo travaglio di tristezza
che non è acuta e durerà per sempre
come il malanno malnato malnata
io non penso di poter guarire
cambiare che qualcosa succeda
che qualcosa di buono possa mai accadere
suono il requiem nella testa tra le soste
sogno prato con ragazzo e baci
telefono alla mamma per dire ceno fuori
quale distanza quale vita m’invento o ricordo
mi fanno lacrimine pensare a quel che è stato
al come eravamo
faccio i fiotti se mi chiedon come va
non oso non so più sognare
bart col gesso salvachiappe
ma io ero esuberante
se solo penso a tutta quella tenerezza e fiotti
quanto che avrei bisogno di curare (/o) d’attenzione
rabia regala pane marocchino
quand’è salito in macchina ancora caldo e profumato
la notte che sogno grandi altezze senza basi
senza un trespolo per poter scendere dover fare saltini
precipitevolissimevolmente
pure, raccolgo affetto da persone, non deputate a me così care,
se guarisse il malanno vedrei la vita diversa?
è stato tutto qui, e così?
di notte sento la tristezza e bestioline mi percorrono
e non lo so se è un’idea.
volevo solamente avrei voluto,
potrei semplicemente l’ultimo déclic
e non sentire più non sentirmi più non sentirmi più,
al ragazzo sul treno, ciao ragazzo di treno,
non ce la faccio a immaginare o far qualcosa
le procedure di tutto il sonno e della veglia,
dolorare, ei disse avrai la vita disgraziata,
io ricordo della sala d’aspetto, dire basta, piuttosto,
pure la vita disgraziata, dis graziata, più nessuna poesia,
nel soffrire, se solo non fossi me, se solamente guarissi,
fammi capace di smettermi