Archive for giugno, 2011

gli ingredienti sono importanti.

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I terza decade con Venere in quadratura pensano all’amore e si lamentano dentro perchè l’amore non è venuto a sentirli suonare. Mentre tutti gli altri bevono e ridono in una nebbia di fumo, se ne stanno nell’angolino coi pugni sotto il mento a guardare per terra. Fino all’alba, quando il tipo delle pulizie li sbatte a finir di frignare fuori dal locale.

mi telefona la puglia o meglio me ne accorgo che ha chiamato
mentre in effetti guardo le scarpe molto più delle persone
e il mojito non è poi così mojito questa volta
ed ho pensato ultimo bacio ultimo sesso ultimo amore
sono, in effetti, tre persone differenti,
il che mi fa guardare terra e nuovi mostri e fa peccato.
questo m'intristirebbe se fossi sempre usa a intristirmi
in realtà, lo registro, penso che non dovrebbe esser così,
che sono un nuovo mostro anch'io anche se ho piedi scoperti e camicetta frou frou.
quello grigio che gira su se stesso.
cena a casa di c con m e n piacevolmente.
domani avevo festa che scambiai con r così da avere un sabato.
ho voglia di baciare ho voglia di drogarmi di stare all'aria aperta di nuotare.
ho scongelato torta, nel frattempo, mentre dovrei dormire, nuovamente.

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enne in scatola

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ho via via imparato saggezza, pazienza, stanchezza.
pensavo fossi amore, invece ero un calesse, ma non mi importa più.
forse m'ha ripreso geo und geo, così mi dicono la sera,
non li hai visti, tipo e telecamera, certo che no, spero che no.
compleanno del pezzettino cui dico palletta! mi risponde sono un bimbo, io.
e quanti anni hai? ci prova con la mano, e poi mi dice tanti.
dovrei dormire, lo so, ci ho già un debito di sonno,
iersera grigliammo le salsicce, cenammo vicini alla piscina,
io voglio loro bene, e di questo, mi importa.
sotto la siepe sta la faina e io con la paura che si pappi li gattini.
tra poco torno a casa, suppongo il lunedì.
è più voglia di qualcosa di buono.

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a v.

A amizade é um amor que nunca morre.

mario quintana

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Per le vie di un piccolo paesino un vecchio faceva il cammino con il nipotino
giovinetto e un unico piccolo asinello. Mentre il vecchietto andava a piedi
e sulla groppa dell’asinello stava il bambino i passanti li schernivano:
“Ma guardate lì che scena! Il vecchietto che non può neanche camminare va a piedi,
mentre il bambino, che potrebbe correre, va a cavallo!” Il vecchietto, sentiti i discorsi
di quel gruppo di gente, per non dare adito ad altre dicerie, fece smontare il bambino
per farlo andare a piedi e montò lui in groppa all’asino. I tre proseguirono, così,
nel loro cammino, ma ecco un altro gruppo di persone:
“Che ingiustizia! il bambino con le sue piccole e tenere gambine va a piedi,
mentre il vecchio, che può benissimo camminare, sta comodamente seduto in groppa. “
L’anziano contadino, vinto dalla vergogna decise di far salire anche il bambino
in groppa all’asino. Proseguirono, così, entrambi sul quadrupede.
Il borbottìo dei passanti e l’indignazione per la scena accrebbero:
“Hai visto quei due lì? Che vergogna!! Con un asinello così piccolo,
gli stanno sopra entrambi, finiranno per sfiancarlo”
Il vecchietto, sentiti quei commenti, pensò bene che sarebbero andati a piedi
sia lui che il suo piccolo nipotino. Ecco allora esplodere lo scherno e il riso di tutti:
“Guardate quei tre asini, mentre ne risparmiano uno, non risparmiano se stessi.
Quel vecchio e quel bambino potrebbero andare comodamente in groppa
e invece vanno a piedi!!”

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ballavamo

Foto 488

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Você aprende a gostar de você, a cuidar de você,
e principalmente a gostar de quem gosta de você.
O segredo é não cuidar das borboletas
e sim cuidar do jardim para que elas venham até você.
No final das contas, você vai achar
não quem você estava procurando,
mas quem estava procurando por você.

Impari a volerti bene, a prenderti cura di te stesso
e principalmente a volere bene a chi ti vuole bene.
Il segreto non è prendersi cura delle farfalle,
ma prendersi cura del giardino, affinché le farfalle vengano a te.
Alla fine troverai non chi stavi cercando,
ma chi stava cercando te.

mario quintana

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nessun percorso pianificato II

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qualcuno mi ha scritto vedrai che riapri
e in effetti riapro
e, tutti e due gli occhi,
dopo aver cancellato cose compromettenti
ma star chiusa è una fatica
è inesistenza e sarà stupido
mi libro e libero qua dentro
venghino venghino e fate vobis
stamani mi suonava gaia inteso l'acqua
stavo in mutande dissi pardon sono nuda
succede che per riempire la piscina
abbiam tolto l'acqua a tutte le case del bosco
perdono e vergogna, piscina borghese
dove nemmeno ancora pucciai li piedi in verità
casa che sto per lasciare, comunque, ai genti stranieri.
molto lavoro solite cose di jheorfhorefhorfih
stata benino comunque
pur con poco equilibrio mio solito e mie paranoie,
domani il molto da fare in da casa che lascio,
stamani declinai
per scelta fedele con tutti i nonostante,
la fedeltà si sente e si dimostra,
se pure non paga, fa niente.
avevo cupezza, ma solo che scrivo e allora mi passa.

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tener chiuso perché non voglio che mi legga chi non leggo
non voglio visite non classificate
timore che mi legga qualcuno del lavoro
qualcuno che non deve
non voglio trat-tenermi mi piace dir-mi tutto
questa non è una vetrinetta non è l'esposizione
certo qui non cerco fidanzati
diffido dei bloggari e degli internettari.
domattina declino l'offerta del lavoro
anche se oggi è stata dura con l'inglese con gli accenti
m'han portato un gruppone che m'ha tolto la parola
ma lo devo superare questo ed altri scogli
non mi scappo.
son piuttosto guarita dalla cosa, che passi, che passi che ho fatto.
non compro più le sigarette, anche questo s'ha da fare.
pertanto (?) adesso rollo del tabacco.

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questa sono, io.

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to manage, più che gestione è un maneggio
dei miei bassi istinti e ricordi e pensieri,
pensavo insuperabile il colloquio in bufera di neve,
ma stamani in postsbronza aspettare dormicchiando
dopo aver lautamente vomitato e assai poco dormito
in tre mi spulciavano e non mi faranno sapere,
suppongo,
e se fosse si apre questione tanto irta quanto erta.
giugno non mi dice più niente giugno non me lo ricordo,
solo oggi ho saputo ieri che giorno fosse.
troppi peli di gatto sul mac, il gatto è genere maschile
e dunque apostrofo in tal senso, anche se sono micine.
stanca di molta stanchezza.
un po' bigia e un po' mogia.
ieri sera stata bene, spensieratissima ridente facente ridere,
una bella parentesi.
molto poco mi tocca, cinquantamila euro arriveranno m'hanno detto,
ma bigia e mogia resto.
vediamo la settimana, vediamo se ritaglio almeno un giorno,
se mi porto in pari con le casalinghitudini.
tra poco lascio questa casa
dove non ho sentito niente usufruito nessun comfort.
è l'altra che resta casa mia, spero sentirne il ritorno.
adesso il letto dei miei genitori.

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collassi.

Foto 445

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Foto 436

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ora rivoglio bianche tutte le mie lettere

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voce del verbo essere sbronza
voce del verbo due gatti in da le braccia
voce del verbo una luna bellissima
voce del verbo una sbronza bellissima
voce del verbo noi ballavamo
voce del verbo il mio primo mojito
e poi caipiroska
e prima birra media
e prima due spritz
e dopo birra media
e poi mezzo pisciavo addosso
sennonché il bagno chimico
puntato col dito dal fido matthew
voce del verbo mi fanno le fusa
voce del verbo ballavo
poi ho passato le dita a fessura dinnanzi il mio occhio
e loro molto a ridere
e io con le mani sul viso
da tanto ridevo
voce del verbo pane arabo
voce del verbo una festa d'estate
voce del verbo quello grigio ciuccella
voce del verbo le ho detto ma lo sai chi mi garba
quello accanto a gaetano
ma non proprio accanto
ma un posto dopo
quello brutto intendo dire
col salvaschermo brutalism e caudal
oh che uomo charmantissimo
voce del verbo domattina ho un colloquio
voce del verbo sono un ostaggio
sono in trappola ahimé
voce del verbo ho guidato a torso nudo
togliendo la tshirt
e poi tutto il reggiseno
voce del verbo fare i conti con sé
voce del verbo non è stato niente
come niente successo
suppuravo immaginavo proiettavo
proprio niente di che
voce del verbo sono sola
e vivo sola
dall'anno del signore duemilatre.

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(ninnananna)

Ti chiamo al piano piano del sangue, al piano del sonno, della sillabata parola dell’idiota,
al piano del frutto che beve il dolce da molti soli e fra tutte le cose io ti chiamo
all’indietro nel capogiro di un passo qualunque
nell’estasi sua e nello stare placido come un gradino nello sguardo del fuori e del là.
piangimi, per il gravido di catene non fatte a pezzi, piangimi per le rovine intorno,
piangimi per lo sciatto del cuore e per il ruvido basso mentale,
piangimi per l’acqua che toglieva la sete e lavava e cresceva,
piangimi per il dormire sporcato e per i sogni che non vengono più.

E io di un colore velato abbasso l’enigma
sul fondo e a nuoto, come pregando, mi butto di là
nel non bene non bello
per un bere sontuoso che mi vortica tutta nell’ebbrezza degli slegati
nell’urlo che all’ultimo salva.

Accolgo una vicinanza strana di
esseri ventilati e bianchi che vanno all’insù.
E guardando molto vicino mi perdo
in quelle venature delle cose dove la
sfumatura regna.

Tu stretto, tu bloccato
al centro, tu senza crescita, tu cadente, tu
verticale alto, tu con zampine, tu e tu
da me accolto con feste, solleva l’ala
il randagio corso del cuore, l’unica vita
con la sua stanga finale, imbraccia
il golfo del niente, l’incavo
del canto e poi l’ombra larga
fra pensiero e pensiero slaccia le dita
in uno staccato aperto, la bocca
rossa come porta di petali che
depone e prende respiri e sorsi
e sillabe in oro in pietra o fiamma o miele

Il linguaggio non segnava vantaggi, ma si
scolava via come buccia e sottosopra con feroce
spolpo andava vuotamente più del
sibilo di tutte le cose.
Dal loro fondo liso le parole straccetto hanno
un alito amaro, le parole fagotto, le
care parole cadute giù.

Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto
nel sogno e ne faccio musica storta
ne faccio delicato vento che solleva o dondola
e impollina al cuore. alla scomposta mente,
impollina l’occhio con l’occhio
l’occhio con l’animale e viene il bello
che ci sviva, ci sviva tutti. Di più.

Tengo solo ombra. E non si sradica.
Più in là le eternità vostre
troneggiano nel loro silenzio statico
come scanno su cui voi state regnanti
come punto del ritorno. Da questa sporgenza
io sondo le larve interiori le essenze durevoli
che mi furono infuse prima, molto prima.

Fra molti inutili alla vita, così spessa è la scorza
o il guscio poi circola un bene che salva.
Tu cosparso di luoghi solitari, tu abisso piccolo, tu
coroncina, e tu così tutta divina, tu coatto, tu
testa reale, tu vagante, tu come di petali, tu
che strisci, tu pietrificata, tu sciamato via, tu
con volute attorno, in alone chiaro, in segno
senza ambiguità, in ballo, la terra celebra
le vostre date, con rumore di acque e
un ordine di costellazioni e di venti e
di giacimenti e di lave
che noi misuriamo con gradi e con
chili, che sempre ritorna.

Non soffrire più. Non soffrire più.
Accanto c’è tutto avvolto in polpe un ossicino
che eredita molte foreste e altre ne fonda.

Prendimi, fai pure le arcate
destinate all’incontro, cerchiami,
poggiami nel tuo fondo migliore,
fai di me struggimento e crepe,
scioglimi di cinghiate lamine, vuotami vuotami,
tira via me, scovami dal mio inno deposto, dalla
fuggitura angolata in cui mi incuneo, sconciami,
fai potature essenziali, entra
con questo antico seme, col saluto di lingue,
di cosparse acque di cime rotonde, nel segreto
delle manovre con in pugno sostanze
e con colpi con colpi a striscio
a fronte punta me, dalle tue lontananze
punta me, a pendaglio a picco sonoro,
nelle sconosciute difese punta me
che mi sporgo lasciando lasciando, dal tuo
guscio insondabile la mia sporgenza
culmina in questo arco di cuore.
Ti avanzo. Ti avanzo incontro.
Prendimi. Prendi me.

Il fuoco centrale non è impalato nel nome.
Esubera dalla distanza del morto, si appoggia
al principio della semenza e lì sta in calice
sottovento.

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